La genetica ci permette di conoscere le nostre vulnerabilità verso alcune patologie su base genetica. I test genetici ci mostrano se siamo o no predisposti a terribili malattie. Sono come una sfera di cristallo che scruta il nostro futuro e consente ai chiaroveggenti di predire il nostro futuro.
Non penso che, poi, sia facile vivere con una tale spada di Damocle sulla testa, che ci spinge ad effettuare numerosi e periodici controlli che alimentano l’ansia e che ci fanno sentire come condannati a un triste destino.
Ma ci sono alcune evidenze che dovrebbero essere considerate. Ad esempio, lo stesso danno genetico può produrre sia una forma di malattia molto grave e incurabile, sia una forma molto lieve.
Pertanto, sapere di avere un danno genetico non significa automaticamente essere destinati a malattie severe, anzi, forse moltissime persone possono aver vissuto tutta la vita senza alcun sintomo, anche se con un danno genetico mai diagnosticato.
Infatti, oltre al più noto effetto placebo (ottenere un risultato clinico con un placebo, ossia un composto inerte), esiste anche l’opposto effetto nocebo, per cui, se somministro un placebo al posto di un farmaco, e riferisco che può dare un effetto collaterale, questo spesso si può manifestare. L’effetto nocebo ai test genetici andrebbe maggiormente considerato, ossia che il conoscere una vulnerabilità ad una malattia ne favorisca la sua manifestazione. Io non credo che l’effetto placebo e nocebo siano manifestazioni psichiche, ma reali (si veda l’articolo Microbiota ed effetto placebo).
Altra evidenza è il concetto di vulnerabilità che non è riferibile solo alla presenza di un danno genetico. Infatti, molte patologie sono dovute a danni multi-genetici e il fatto che uno stesso danno possa produrre una vasta gamma di manifestazioni cliniche, dalle più lievi alle più severe, può indurre a pensare che altre unità geniche siano coinvolte anche nelle patologie dove è stato trovato un gene “responsabile”.
Inoltre, come trasmettiamo ai figli il colore degli occhi, la lunghezza del naso, etc, e non c’è il gene del colore degli occhi, né della lunghezza del naso, ma c’è tutto un corredo genetico che porta a manifestare aspetti esteriori simili ai genitori, così è per la probabilità di manifestare patologie. La genetica controlla anche l’architettura dei nostri organi, se i genitori hanno fragilità in alcuni organi, questa fragilità può essere trasmessa ai figli. Ad esempio, genitori depressi o epilettici, ma anche cefalalgici, cardiopatici, etc, possono trasmettere queste fragilità ai figli, come espressione del loro corredo genetico.
Occorre anche considerare che il microbiota è capace di silenziare un danno genetico, ossia a non farlo esprimere. Questa capacità è ben evidente, ad esempio, nelle epilessie genetiche, dove c’è un danno genetico, ma la maggior parte del tempo il paziente vive senza crisi. Come è possibile? Se un danno genetico mi altera la conducibilità di un canale ionico, questa alterazione dovrebbe essere continua nel tempo e se è dovuta ad un danno genetico, manifestarsi subito dopo la nascita. Invece possono manifestarsi anche molto più tardi e anche queste forme genetiche peggiorano o migliorano in risposta a stimoli esterni, lo stress, ad esempio, peggiora le crisi.
E’ evidente che la crisi epilettica sia il risultato tra una predisposizione anche multi-genetica e meccanismi di compensazione al danno prodotti dal microbiota. Fintanto che questi meccanismi sono forti, il danno non si manifesta, se i meccanismi riducono la loro forza, allora ho la manifestazione della crisi. Ancora una volta, la manifestazione di un sintomo non è dovuta alla presenza di una vulnerabilità, ma alla riduzione delle mie capacità di contenerla, di silenziarla. Siamo come delle automobili da formula una, super performanti, ma molto fragili, che si rompono continuamente, ma che per ogni pezzo meccanico ci sono dieci meccanici e infiniti pezzi di ricambio.
Siamo stati progettati per essere sani, la nostra forza non è la robustezza degli organi, ma dei processi riparativi e rigenerativi.